La manutenzione si può anche fare
Recensione Libro
Francesco Maria Cominoli
La manutenzione si può anche fare (14 + infinito).
Pitagora Editrice, Bologna, 234 pp. – Euro 16
Ho letto avidamente il libro di Francesco perché, nell’ordine, è un amico, un ex-collega della RDA e un sodale in AIMAN.
Per capire lo spirito che aleggia nel libro è necessario tornare per un momento all’inizio degli anni ’80 e alla straordinaria esperienza di RDA.
RDA è una società di consulenza di direzione aziendale nata nei primi mesi degli anni ’80 e liquidata poi nel 1996, perché la capogruppo fu ceduta a una società di consulenza americana.
Nel bellissimo libro di Giuliano Faliva e Ferdinando Pennaiola “Storia della Consulenza di Direzione in Italia” (1992, Edizioni Olivares), noi della RDA con Nomisma e Prospecta, fummo definiti gli “avventurieri della mente”, una “categoria” fra quelle analizzate nel panorama della consulenza in Italia.
RDA aveva molteplici attività nella logistica, nel controllo di gestione, nei sistemi informativi, nell’applicazione delle Tecniche Produttive Giapponesi (portammo in Italia Schonberger, Nakajima, ed altri guru), ma pochi sanno che la sua vera peculiarità era nello sviluppo e nello studio dell’ingegneria di manutenzione.
Competenza che poi porterà alla fine degli anni ’80, all’iter realizzativo delle principali Norme UNI per la manutenzione.
Torniamo però al 1983, anno in cui Furlanetto completò il suo primo mandato da Presidente AIMAN.
Nei successivi 10 anni RDA fu il riferimento incontestabile per tutti coloro che si occupavano di manutenzione. Un’università dove Luciano Furlanetto fu il Rettore e l’animatore indiscusso, ed io il suo Preside.
Furlanetto seppe attrarre in RDA i migliori tecnici esperti di manutenzione che portarono ciascuno grandi contributi per comporre quello che poteva a buon titolo definirsi l’approccio RDA.
Ricordo con affetto Filippo Mantegazza (il mio primo tutor), Carlo Francesco Baroncelli, Antonio Romano, che allora si occupavano di Logistica, il compianto Francesco Turco (del Politecnico di Milano), Fabrizio Bianchi e Vito D’Incognito (che portarono in RDA rispettivamente la cultura manutentiva dell’aeronautica e la cultura manutentiva del nucleare), Stefano Saraceno (proveniente dal settore metallurgico e dalla grande chimica), Rino Torti e il compianto Giuseppe Meneguzzo (colleghi di Furlanetto e di Cominoli ai tempi della SNIA), Dijell Vinjau (il più esperto manutentore che abbia mai conosciuto), Renzo Davalli (dalla petrolchimica) oggi Presidente Onorario di AIMAN, Mario Corsi (dalla Raffinazione del Petrolio) e infine appunto il nostro Francesco Maria Cominoli (che in pratica si è sempre occupato di ingegneria di manutenzione, dalla fine dell’adolescenza in poi).
Vediamo quindi Francesco come un “portatore sano” di quel approccio RDA alla manutenzione, che fu seminato nelle principali aziende italiane dell’epoca.
Il suo libro non smentisce le origini, alle quali ha saputo aggiungere una conoscenza pratica e una “vis didattica”, di ottima fattura.
Trovo che la didattica sia una delle peculiarità del libro. E non solo perché è scritto con linguaggio chiaro e semplice.
Francesco semplifica ai limiti del lecito (secondo l’autore sono consentite solo 4 politiche di manutenzione!), ma così facendo evita accuratamente i sofismi e i sottili distinguo per andare sempre al nocciolo del problema.
Il tema centrale del libro sono i Processi di Manutenzione, che Francesco arricchisce con esempi e chiarificazioni tratte dall’esperienza quotidiana, mantenendo sotto traccia l’accuratezza di analisi e la capacità di sintesi dell’ingegneria di manutenzione. Il testo risulta così chiaro ma non generico, dove i concetti più importanti sono ripetuti più volte, e in diversa forma, nelle varie sezioni del libro.
Non è un trattato di manutenzione, nel senso che l’autore si preoccupa di dire fin dalla prefazione, che lascia all’abbondante letteratura disponibile (anche se non sempre di pari livello, aggiungo io), il compito di entrare nei meandri della manutenzione che volutamente Francesco ha tralasciato per concentrarsi appunto sui processi.
Apparentemente qualsiasi manutentore con un po’ di esperienza dovrebbe conoscere i processi manutentivi almeno per quanto leggiamo nel libro, in realtà non è così, e dunque l’esperienza del libro diventerà un arguto compagno di viaggio per tutti coloro che la manutenzione la devono “anche fare”.
Il primo capitolo parla diffusamente della struttura impiantistica, alla quale Francesco, prodigo di consigli, da una grande enfasi, e la pone alla base della costruzione del “sistema informativo”.
Le risultanze future del sistema informativo dipenderanno, infatti, da una buona impostazione della struttura impiantistica e Francesco non si lascia sfuggire l’occasione per ribadire che: “la qualità dell’equipment tree condiziona alla base la gestione informatizzata di tutto il Sistema; può costituire una risorsa o un pesante «peccato originale».”
I due capitoli successivi riguardano invece i processi legati alla “richiesta di lavoro”. Un’occasione per approfondire alcuni elementi legati alle politiche manutentive e alla loro applicazione sia nell’ambito delle fermate e dei guasti, sia nell’ambito delle azioni pianificate.
Francesco ricorda quante speranze che “la certificazione per la Qualità trascinasse vigorosamente anche la gestione tecnica della manutenzione”. Cosa che alla prova dei fatti non è avvenuta, la certificazione essendo vissuta più sul piano “dimostrativo” che non sul piano del “miglioramento” dei processi.
Il nostro autore non si fa comunque “intimidire” e procede spedito raccontando le sue esperienze nell’industria di processo e nel manifatturiero, conscio del fatto che non esiste una soluzione “buona per tutti” specie quando si entra nel merito dell’operatività quotidiana e dei processi.
Questo è invece un errore abbastanza diffuso nella letteratura manutentiva, dove un buon numero di autori proveniente da questa o da quella categoria di impresa, pretenderebbe di generalizzare le proprie esperienze operative alla manutenzione tutta. Ignorando, o volendo ignorare, che le peculiarità di ciascun settore tecnologico fanno si che una soluzione buona per una impresa possa rivelarsi disastrosa per un’altra.
Bisogna dare atto a Francesco di non avere pregiudizi. Non sposa ideologicamente questa o quella politica di manutenzione, ma dice con molta franchezza che tutte debbono coesistere e ammette che non tutti i guasti e quindi l”accidentale” potranno essere eliminati, ma rimarrà sempre uno « zoccolo duro », “che non sarà mai azzerabile (se teoricamente lo fosse, il costo della prevenzione sarebbe antieconomico)”.
Fa piacere leggere queste affermazioni, perché accade sovente che sedicenti tecnici di manutenzione, più simili però ad imbonitori di piazza, lascino credere che con i loro strumenti o con i loro metodi, l’incidentalità sarà finalmente debellata a favore della preventiva, anzi, “pardon”, della predittiva che non si sa bene cos’è, ma suona meglio.
A proposito della Predittiva, Francesco, assimilandola alla Manutenzione su Condizione, fa una semplificazione che sarebbe inaccettabile, alla luce anche delle norme UNI ma, e qui bisogna darne atto all’autore, questa “ellissi”, permette di nascondere una differenza che i più ignorano (ma non Francesco) a tutto vantaggio della didattica.
Nella realtà non si fa quasi mai manutenzione Predittiva, che presuppone, quando non richieda necessariamente, un monitoraggio continuo della o delle variabili controllate.
Poiché però molti fanno della manutenzione Su Condizione ritenendo invece di fare della Predittiva, l’appropriazione di questo linguaggio popolare, con un approccio più giornalistico che tecnico, facilita la comunicazione e permette comunque a Francesco di raggiungere l’obiettivo: spiegare con dovizia di esempi quando e come utilizzare le diverse politiche manutentive.
Il quarto capitolo è dedicato interamente ad illustrare la metodologia FMECA/MAGEC, con tutti i correttivi e le semplificazioni che fanno parte del già citato “approccio RDA”.
La procedura in sé è nota ai più ed ha ormai quasi 60 anni essendo stata definita la prima volta nel 1946, con successive integrazioni e modifiche, fino agli anni ’80, dagli scienziati del Dipartimento per la Difesa USA, facendo parte da un certo punto in poi delle famose Military Standard.
Ciò di cui parla Francesco, non è precisamente però l’originale metodologia FMECA, come lo stesso autore fa notare, ma una versione Italiana, elaborata a più mani nella “cucina” RDA, specificatamente adattata alle esigenze pratiche della manutenzione e di un sistema in fase “operativa” (l’originale FMECA invece è nato come strumento di progettazione).
Non crediate di sapere tutto su FMECA/MAGEC e non saltate quindi il capitolo, ma prestate grande attenzione ai consigli dell’autore.
Francesco nei quasi 10 anni di appartenenza a RDA e in tutte le successive sue esperienze lavorative, ha applicato in lungo e in largo, più di chiunque altro, il metodo FMECA/MAGEC e quindi ha veramente tante cose da dire e da insegnarci.
Spunti, osservazioni, tante “finezze” che aiuteranno chiunque approcci il problema per la prima volta e chi lo ha già fatto da molto tempo, ma non ha avuto la fortuna di imbattersi nella enorme casistica di cui dispone il nostro autore.
Il quinto capitolo, il piano di manutenzione, è la naturale conseguenza del quarto (e ne costituisce uno dei primari obiettivi), ma è anche la conseguenza dei due capitoli dedicati alle richieste di lavoro, in quanto il piano di manutenzione è il luogo dove si svolgono tutte le prevenzioni a cui ‘autore ha poi aggiunto un lungo accorato appello alla manutenzione migliorativa e a tutto quel che ne consegue.
La manutenzione migliorativa è un’attività una tantum e non fa parte quindi del piano di manutenzione, però “la manutenzione migliorativa costituisce uno degli strumenti più importanti per avviare il processo di «ingegnerizzazione» del sistema manutenzione”.
Non è solo per quest’ultima considerazione che Francesco inserisce nel capitolo dedicato al piano, la manutenzione migliorativa.
Egli, infatti, postula che “quando si progettano attività pianificate, il primo problema pratico è a chi farle fare e con quali soldi. Modifiche e migliorie con esborso una tantum sono meglio accette. Può essere [così] innescato il « Circolo Virtuoso »”.
I risparmi ottenuti applicando la manutenzione migliorativa, spiega Francesco, possono essere utilizzati per finanziare gli interventi di prevenzione pianificati. Questo in sintesi il significato di « Circolo Virtuoso ».
Gli ultimi due capitoli sono infine dedicati al monitoraggio della manutenzione e ai conseguenti indicatori.
E su questo punto poiché Francesco mi chiama direttamente in causa mi sento in dovere di fare una puntualizzazione.
Per quanto possa sembrare strano al senso comune, la Disponibilità dipende sia dalla frequenza degli eventi di guasto o, più in generale, dalle fermate, sia dalla loro durata. Questi due aspetti non possono essere scissi senza commettere un errore di valutazione. È pur vero che aumentando la frequenza delle fermate, a parità delle altre condizioni diminuisce la disponibilità, ma è anche vero che se in pari proporzione diminuisce la durata della fermata, oltre che aumentare la frequenza, la disponibilità risultante rimane costante.
Lasciamo perdere ovvie considerazioni ai limiti (frequenza molto alta con durate molto basse) e immaginiamo come sempre un caso medio.
Se vogliamo far dipendere la disponibilità da un’unica variabile (supponendo costante il tempo teoricamente disponibile) è sufficiente moltiplicare la frequenza delle fermate per la loro durata ottenendo così il tempo totale di fermata. La frequenza si semplifica ed allora risulta che la disponibilità è inversamente proporzionale al tempo totale di fermata, all’aumentare di quest’ultimo, come è anche logico che sia, la Disponibilità diminuisce, fino al punto che, quando il tempo totale di fermata è uguale al tempo teoricamente disponibile, la Disponibilità scende a zero. È invece 1 (o 100%) quanto non vi è alcuna fermata e quindi il tempo totale di fermata è zero.
D’altro canto queste considerazioni sono ampiamente riscontrabili in letteratura. E credo che nell’economia del Libro, che punta decisamente al pratico, la mia puntualizzazione potrà anche sembrare un po’ stantia.
Querelle a parte, bisogna dare atto a Francesco, in questi due capitoli sul monitoraggio e quindi sugli indicatori di prestazione, di non essersi soffermato banalmente a descrivere la definizione e i metodi di calcolo, già ampiamente documentati dalle norme UNI e da esse qui fedelmente riportati, ma di avere specificato per noi comuni mortali una serie di considerazioni utili per il calcolo corretto degli indici.
Conoscere bene il significato degli indici e i più comuni trabocchetti contenuti nelle procedure di calcolo, permette di usarli al meglio e di comprenderne appieno il loro campo di utilizzo.
Il libro si conclude poi con una serie di appendici risultanti perlopiù dall’ultima esperienza di lavoro di Francesco.
Segnalo in appendice un elenco ragionato di grandezze fisiche e relativi strumenti di misura, commentati dall’autore, utili a chi deve impostare la manutenzione secondo Condizione o Predittiva (come piace a Francesco).
Non so se questa mia sintesi invoglierà la lettura (e l’acquisto) del libro, certo è che dobbiamo tutti essere grati a Francesco di averci messo a disposizione senza reticenze e con molta generosità e trasparenza le conoscenze accumulate in trent’anni di lavoro.
Purtroppo questo non avviene spesso. Vi sono Tecnici di valore che custodiscono gelosamente le loro presunte competenze, da un lato si potrebbe pensare per una sorta di avarizia, ma si può anche supporre dietro queste reticenze la paura di mettersi a confronto con gli altri e di scoprirsi poi non così tanto “esperti”.
Il nostro autore non è certo fra questi.
Francesco Maria Cominoli, grazie, quindi, e … attendiamo il secondo volume.
Maurizio Cattaneo
(3 maggio 2006)